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lunedì 1 giugno 2009

LETTERA APERTA A CLAUDIO GRASSI

ma quale è la nostra proposta di fronte alla crisi?





Di Aldo Giannuli
docente di storia alla Statale di Milano


La lettera aperta che vi proponiamo qui di seguito è stata scritta al terimine dell' Assemblea regionale dell'area "Essere Comunisti" di sabato 29 Aprile in risposta all'intervento conclusivo di Claudio Grassi. Pensiamo possa essere un interessantissimo spunto di riflessione sull'attuale crisi economica, la quale mette in luce una lunga serie di problematiche del tutto inedite che come Sinistra non possiamo ignorare.

Caro Claudio,

colgo l’occasione del tuo discorso conclusivo della riunione di “Essere Comunisti” sabato scorso a Milano per ragionare meglio su un punto che hai toccato di sfuggita ma che mi sembra essenziale per la definizione della linea politica di Rifondazione.Mi riferisco alla tua affermazione per cui siano in presenza di una crisi da sovra produzione che, dunque, richiede interventi ti tipo classicamente keinesiano (rialzo dei salari, rilancio dell’occupazione ecc), per sostenere la domanda sul mercato e rimettere in equilibrio l’economia.

In effetti, sono presenti elementi di sovra produzione: la depressione del monte salari obbliga i ceti subalterni ad indebitarsi, questo genera masse di capitale fittizio che si svela per tale quando l’insolvenza dei debitori diventa conclamata; questo provoca una caduta della domanda che rende le merci prodotte invendibili, con la conseguente mancata realizzazione del profitto.
E’ quello che è successo con la crisi dei mutui e che assomiglia da vicino ai meccanismi della grande crisi del 1929. Personalmente non credo che questa sia la definizione più adatta per la crisi attuale, perchè non è questo l’aspetto peculiare, ma potremmo anche scegliere questa definizione, tutto sta a capirsi sul significato delle parole.I vari aspetti di questa crisi erano stati analizzati da Alberto Burgio nel suo pregevole “Senza Democrazia”, la cui lettura consiglio sempre a studenti ed amici, anche se, per la verità, Alberto non sempre ha tratto tutte le conseguenze delle tendenze che individuava ed, in alcuni tratti, mi è parso troppo suggestionato dal parallelo analogico con il 1929.

Tuttavia, ho l’impressione che si stia facendo strada una vulgata un po’ troppo semplificativa, che forza ancora di più l’analogia con la “Grande crisi”, sino ad una trasposizione meccanica delle ricette keinesiane.A differenza di settanta anni fa, dobbiamo fare i conti con una serie di elementi del tutto nuovi. In primo luogo, è vero che anche la crisi del 1929 fu innescata dall’insolvenza della Germania di fronte al suo debito per le riparazioni di Guerra, ma è anche vero che essa ebbe uno svolgimento prevalentemente interno ai mercati nazionali. E pertanto, le soluzioni del New Deal, con i loro imponenti programmi di opere pubbliche, pur se non bastevoli a superare del tutto la depressione, ottennero comunque l’effetto di invertire la tendenza, avviando la ripresa e conducendola a buon punto. Si può discutere se il decollo degli Usa quale prima potenza economica mondiale sarebbe ugualmente avvenuto -ed in quei tempi- senza l’immenso consumo a fondo perduto della Guerra e la ricostruzione dei paesi europei, ma è ragionevole supporre che, pur se in tempi più lenti, il New Deal avrebbe conseguito i suoi obiettivi.

Però gli Usa di Roosevelt erano un paese altamente industrializzato che produceva la gran parte di quello che si acquistava sul mercato interno. Qui, invece ci troviamo di fronte a questa situazione:

a- un ventennio di delocalizzazione ha ridotto fortemente il potenziale industriale degli Usa (ed, in misura inferiore, dell’Europa)b- per cui gli Usa nel loro complesso consumano circa il 20-25% in più di quello che producono e da ormai da un quindicennioc- i consumatori americani hanno retto la domanda sul mercato interno soprattutto grazie al massiccio indebitamento privato (mutui, carte di credito, rate auto ecc.) che è alla base della bolla finanziariad- le banche americano hanno trovato modo di “esportare” i loro crediti (più o meno inesigibili) sotto forma di prodotti finanziari atipici sbolognati alle banche europee, giapponesi ecc.c- l’Amministrazione americana, dal canto suo, ha rimediato al suo surplus di spese emettendo masse crescenti di titoli di debito pubblico (appioppati soprattutto alla Cina ed ai paesi mediorientali)d- la quadratura finale del cerchio è stata assicurata dai diritti di signoraggio sulla moneta unica di riferimento e di scambio mondiale, appunto, il dollaroe- in misura diversa, questi processi hanno riguardato anche l’Eurozona, dove si affiancano paesi creditori (come la Germania o l’Olanda) e paesi debitori (soprattutto quelli meridionali ma anche l’Irlanda)

Già questo scenario rende manifestamente insufficienti le classiche ricette keinesiane: limitarsi ad aumentare il monte salari negli Usa o in Europa otterrebbe solo il risultato di peggiorare ulteriormente la bilancia commerciale con i paesi asiatici (Cina in primo luogo, ma anche India , Indonesia, Corea, Taiwan, Giappone), con le conseguenze che è facile immaginare.Per un riequilibrio complessivo, sarebbe auspicabile una crescita salariale nei paesi maggiori esportatori (in particolare in Cina) o un riallineamento complessivo delle monete, in modo da attenuarne la competitività e permettere una ripresa produttiva dei paesi importatori. Ma nè l’una nè l’altra cosa sembrano soluzioni praticabili, per lo meno a breve. D’altra parte, un cambio meno vantaggioso delle monete occidentali rispetto a quelle asiatiche (reminbi in particolare) se, da un lato ridurrebbe le importazioni da quei paesi, dall’altro peggiorerebbe il potere d’acquisto dei salari.

Ma il guaio peggiore , è ancora un’altro: questa crisi non presenta solo e tanto aspetti di sovra produzione, ma anche di scarsità. E non si tratta affatto di un dato di poco conto. Noi siamo in presenza di:a- un boom demografico che non accenna a calare (stiamo toccando quota 7 miliardi)b- una esplosione dei consumi dovuta al fatto che, per la prima volta, masse ingentissime, come quelle dei paesi asiatici, accedono a beni sin qui preclusi (dal miglioramento dei generi alimentari al possesso di oggetti elettronici ecc.)

Ne consegue una scarsità generalizzata di quasi tutte le commodities –dal rame allo zinco, dal litio al platino, dai platinoidi al cacao, dal ferro alla soya, dal mais, per non dire di oro e petrolio-.Per di più questo innesca nuove bolle speculative attraverso il meccanismo dei future.Il che significa, in buona sostanza, che, contrariamente a quanto accade normalmente nelle grandi crisi seguite da fasi depressive, non dobbiamo aspettarci la prosecuzione della tendenza alla deflazione (peraltro modestissima) di questi anni, ma, al contrario, il rischio di una forte fiammata inflazionistica. Ed è già chiaro che il rischio si presenterà imponente nel 2012, quando verranno a scadenza una considerevole massa di titoli di debito pubblico, in buona parte americani: se l’asta dovesse andare male (come tutto fa presagire), questo spingerebbe gli stati (Usa in testa) ad emettere moneta in quantità, dando il via alla spirale inflazionistica.

In queste condizioni, le soluzioni keinesiane sperimentate non appaiono pertinenti o efficaci. Questo porta inevitabilmente ad uno scontro sugli assetti di potere (fra stati, classi, imprese) che va ben al di là di qualche intervento sui salari.D’altra parte, definire una linea credibile, che permetta ai ceti subalterni di entrare in gioco e farsi valere, non è cosa che possa esaurirsi in ambito nazionale (o ridursi a qualche modesta trovata come la “michetta ad un euro”) ed allora, perchè Rifondazione non prova a promuovere un incontro con le altre forze della sinistra europea (tedeschi, francesi, greci, portoghesi, spagnoli, islandesi ecc.)? Potrebbe essere l’occasione per avviare almeno alcune campagne internazionali come, ad esempio, la nazionalizzazione delle banche, il superamento del dollaro come moneta di riferimento internazionale, l’istituzione della Tobin Tax, la tassazione dei redditi manageriali, la revisione del regime delle stock options ecc.

Come sai io sono molto scettico, a questo punto, sulla sorte di Rifondazione comunista e della Federazione della Sinistra (e ti ho chiaramente espresso i miei dubbi proprio sabato) ma sarei felicissimo di ammettere di aver sbagliato, constatando che Rifondazione e la Federazione sono vitali e in grado di dare un contributo effettivo alla formazione di una convincente linea di sinistra al livello dei problemi che abbiamo davanti.

Con l’amicizia di sempre

Aldo, 30 maggio ‘10
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