Noi siamo convinti che il mondo, anche questo terribile, intricato mondo di oggi può essere conosciuto, interpretato, trasformato, e messo al servizio dell'uomo, del suo benessere, della sua felicità. La lotta per questo obiettivo è una prova che può riempire degnamente una vita.

giovedì 22 dicembre 2011

INFLAZIONE E TASSE PESANO. BUSTE PAGA FERME DA DIECI ANNI

Si accentua la distanza tra i redditi. Solo per il Fisco persi duemila euro

articolo tratto da contro la Crisi.org

ROMA — Le retribuzioni dei lavoratori italiani sono basse e tartassate. Negli ultimi 15 anni hanno perso terreno nei confronti internazionali. E la differenza tra i salari più ricchi e quelli più poveri è aumentata. Adesso, poi, con l'inflazione che ha ripreso a correre e con la stangata Monti appena decisa, la perdita di potere d'acquisto rischia di essere pesante. 
Partiamo dai raffronti con gli altri Paesi, utilizzando i dati 2010 dell'Ocse, l'organizzazione dei Paesi più industrializzati. L'Italia si colloca al 22esimo posto su 34 nella classifica dei salari netti: 25.155 dollari (19.350 euro al cambio di ieri). Mille euro in meno della media Ocse e quasi 4 mila in meno della media dell'Ue a 15. Nel Regno Unito la retribuzione netta è stata di 11 mila euro superiore a quella media italiana. In Germania hanno preso quasi 5 mila euro in più che da noi, in Francia 2 mila e perfino in Spagna ci hanno superato di circa 1.500 euro. L'Italia è comunque ultima per livello di salario netto tra i Paesi del G7. 
Volete una spiegazione? Ce ne sono tante, ma una la fornisce la stessa Ocse, mettendo a confronto il livello di imposizione fiscale (tasse e contributi) sugli stipendi. L'Italia si colloca al quinto posto su 34, con un prelievo del 46,9% misurato sulla retribuzione media di un lavoratore single senza figli. Ci battono, nell'ordine, solo Belgio (55,4%), Francia (49,3%), Germania (49,1%) e Austria (47,9%). Invece, Spagna, Olanda e Danimarca stanno intorno al 38-39% e il Regno Unito al 32,7%. Se poi si mettesse a confronto il prelievo su un lavoratore con carichi familiari è probabile che la posizione dell'Italia peggiorerebbe, per esempio rispetto alla Francia che ha il Fisco col quoziente familiare. 
Questa la fotografia attuale, ma la cosa che preoccupa di più, osserva Carlo Dell'Aringa, uno dei massimi esperti della materia, è che «negli ultimi 10-15 anni la posizione relativa dell'Italia è peggiorata. È aumentato cioè il divario rispetto a Regno Unito, Germania, Francia e Olanda. Il motivo è che la produttività è rimasta quasi ferma, mentre altrove è aumentata». Dal '96 a oggi le retribuzioni lorde sono rimaste al palo. Scrive la Banca d'Italia nell'ultima relazione annuale: «Nel settore privato tra il 1996 e il 2010 le retribuzioni reali di fatto per unità di lavoro sono aumentate dello 0,7% all'anno, quelle contrattuali dello 0,4%». Ma nell'ultimo anno è venuta meno anche la tenuta rispetto all'inflazione ufficiale. Gli ultimi dati dell'Istat, riferiti al terzo trimestre del 2011 segnalano che nei confronti dello stesso periodo del 2010 le retribuzioni lorde sono aumentate dell'1,4%, cioè meno della metà rispetto ai prezzi (l'inflazione ha raggiunto il 3,3% a novembre). Inoltre, secondo l'Ires-Cgil guidato da Agostino Megale, ilfiscal drag , cioè le maggiori imposte che si pagano per effetto dell'aumento nominale dei redditi, ha sottratto ai salari lordi più di 200 euro all'anno dal 2000 al 2010. E nel 2011, secondo l'Ires, uno stipendio medio perderà circa 260 euro di potere d'acquisto rispetto all'inflazione e 306 euro a causa del fiscal drag : in tutto 566 euro. 
L'inflazione e il cosiddetto cuneo fiscale, dunque, hanno un peso nel far perdere terreno ai salari, già tradizionalmente bassi in Italia, a causa della struttura produttiva dominata dalle piccole e piccolissime imprese. Sempre l'Istat osserva che «i lavoratori dipendenti delle microimprese (meno di 10 addetti) percepiscono una retribuzione annua pro capite di 18,4 mila euro, il 65,6% di quella percepita in media dai dipendenti delle imprese con 250 addetti e oltre (28,1 mila euro). Il differenziale retributivo medio legato alla dimensione aziendale è riscontrabile in tutti i macrosettori di attività economica». Le imprese con più di 250 dipendenti sono appena 3.502 su un totale di 4,3 milioni. Quelle con meno di 10 addetti 4,1 milioni. La dimensione media delle aziende italiane è di 3,9 addetti. Il valore aggiunto pro capite nelle microaziende è di 24 mila euro, in quelle con più di 250 dipendenti è invece di 60 mila euro. Eccolo il legame tra salari e produttività. 
A questa situazione di base, già svantaggiata, si somma una scarsa crescita della produttività, in parte riconducibile proprio al nanismo imprenditoriale, in parte ad altri fattori. Spiega Dell'Aringa: «Il basso andamento dei salari riflette a posteriori la dinamica della produttività. Si tratterebbe invece di legare retribuzioni e produttività ex ante, attraverso una contrattazione più efficiente. In altre parole, se i lavoratori, azienda per azienda, sanno che producendo di più guadagneranno di più, questo può innescare un comportamento virtuoso che farà crescere la produttività e quindi i salari». È un po' quello che è successo in Germania e negli altri Paesi dove la contrattazione aziendale è sviluppata e c'è una maggiore partecipazione dei dipendenti ai risultati dell'impresa. Ci sono poi almeno altri due fattori che svantaggiano l'Italia nei confronti internazionali. 1) I maggiori costi dei servizi pubblici e privati alle imprese: dai trasporti alla giustizia, dall'elettricità alla burocrazia. 2) Un livello di istruzione della manodopera inferiore alla media dei Paesi Ocse e con una formazione spesso non in linea con le richieste delle imprese. 
Per rimettere in moto la produttività bisogna quindi agire su più fronti, attraverso riforme strutturali, accompagnate da una contrattazione più moderna e partecipativa. Più produttività significa più salario. A patto però che il prelievo fiscale e contributivo non aumenti e che l'inflazione venga tenuta sotto controllo. Questo per la media dei lavoratori. Ma c'è un'emergenza che riguarda i precari e più in generale i poor workers , quelli con retribuzioni povere e instabili che si allontanano sempre più dai lavoratori più ricchi. Il salario medio del 10% più ricco nel nostro Paese, dice l'Ocse, è oltre 10 volte quello del 10% più povero: 49.300 euro contro 4.877, e il divario è aumentato rispetto agli anni Novanta, quando era di 8 a 1. 
Secondo il 12° Rapporto sulle retribuzioni in Italia 2011 di OD&M, effettuato elaborando le retribuzioni di un campione di 700 mila lavoratori, i dirigenti guadagno in media 106.886 euro lordi, i quadri 53.585, gli impiegati 27.009, gli operai 21.793. E, «con riferimento ai primi 6 mesi del 2011, solo i dirigenti hanno avuto un aumento del proprio potere d'acquisto». 
Il problema dei poor workers, dice Dell'Aringa, va affrontato con decisione, facendo costare di più determinate forme di rapporto di lavoro abusate dalle aziende: «Mi riferisco alle false partite Iva, alle false collaborazioni e ai falsi stage. Bisogna aumentare i contributi sui lavori precari con un unico committente e forse bisogna pensare a un salario minimo. Eppoi, si devono mandare anche i carabinieri». Solo così le aziende non troveranno più conveniente mascherare dietro rapporti di lavoro autonomo o di collaborazione quelli che sono invece lavoratori subordinati a tutti gli effetti. Eliminati gli abusi, bisogna «non toccare forme contrattuali che funzionano, come l'apprendistato, il lavoro interinale e i contratti a termine, che hanno tutte le garanzie del caso e spesso sono un trampolino verso i contratti a tempo indeterminato». Per questi ultimi, conclude Dell'Aringa, bisogna rilanciare la produttività, ridurre la differenza tra lordo e netto, tagliare quindi il cuneo fiscale e gli altri costi. Tra questi ultimi ci sono anche quelli dei licenziamenti. Ma tagliarli non è il toccasana

Perchè è sbagliato aumentare l’età pensionabile delle donne

Di Umberto Bettarini


Pubblichiamo questo contributo tratto dal giornale universitario Sottotraccia. Lo riteniamo interessante perchè pone il problema dell'età pensionabile in un ottica comparata. 


Questo ariticolo è stato scritto a fine ottobre 2010, in una fase politica molto calda in cui buona parte del dibattito pubblico era concentrata sulla questione della riforma pensionistica. Non sappiamo se quando verrà pubblicato la questione avrà assunto caratteri differenti. In ogni caso il nostro primario interesse è quello di focalizzarci su alcuni aspetti di principio che sono trasversali alle singole normative specifiche…
In un paese dove la disoccupazione giovanile raggiunge la quota del 29,3% [1] parlare di aumento dell’età pensionabile dovrebbe far inorridire. Eppure in Italia, stato europeo tra i più colpiti dal problema del lavoro per le giovani generazioni, la questione non sembra essere presa sul serio. Il governo, infatti, nella manovra di luglio è riuscito ad approvare una norma che, attraverso un complicato sistema di aggiustamenti progressivi, porterà l’età pensionabile delle donne nel settore privato all’equiparazione con quella degli uomini entro il 2026; inoltre è in discussione la possibilità di innalzare per tutti l’età pensionabile. Tutto ciò sta passando senza particolari problemi e con un consenso che, nella maggior parte dei casi, è bipartisan.
Tasso di occupazione per genere
fig.1
Il ragionamento che sta alla base di tale normativa è piuttosto lineare. In un contesto nel quale le donne in media vivono più degli uomini, non sussisterebbero ragioni oggettive per farle smettere di lavorare prima. Tutto questo, secondo i fautori della riforma, sarebbe coerente con i più recenti orientamenti della Comunità Europea e soprattutto permetterebbe alle casse dello stato di risparmiare parecchi soldi. Se tali argomentazioni a prima vista possono sembrare ineccepibili, per comprendere a pieno la questione occorre analizzarla approfonditamente. Innanzitutto va detto che tale normativa non sarà priva di effetti. Essa inciderà in maniera negativa sulla disoccupazione giovanile, in quanto, data la fase recessiva in cui i posti di lavoro sono in costante diminuzione, aumentare l’età pensionabile, ovvero costringere le persone più anziane a continuare a lavorare per più anni, impedisce il ricambio generazionale e penalizza fortemente i nuovi ingressi nel mercato del lavoro. Inoltre, tutto ciò avrà un forte impatto sociale. Se, infatti, i governi dei vari paesi hanno deciso di differenziare per genere le età pensionabili ciò è dovuto a delle ragioni precise. Occorre, allora, interrogarsi su quali siano queste motivazioni e provare a spiegare le differenze principali, se davvero ce ne sono, tra le impostazioni dei vari paesi europei.

Età pensionabile: perché differenziare?
La questione della differenziazione delle età pensionabili per genere non è un’ invenzione italiana e più o meno tutti i paesi occidentali si sono mossi in tal senso. La logica che sta dietro a questa distinzione muove dall’assunto che le donne oltre alle ore prestate sul posto di lavoro sono soggette ad un ulteriore carico dovuto al loro ruolo tradizionale nella famiglia. La scelta dei vari legislatori, perciò, è stata quella di porre rimedio a questa condizione di disparità compensandola con la possibilità di andare in pensione in anticipo. Si è, quindi, cercato di rimuovere una situazione di squilibrio agendo sui suoi effetti anziché sulle sue cause, attraverso una compensazione sia di carattere economico che di tempo libero a disposizione. Per comprendere gli effetti del riequilibrio dell’età pensionabili, perciò, occorre muoversi lungo questa chiave di lettura. É necessario capire se effettivamente la condizione di svantaggio per le donne sia stata superata.

Uno sguardo sulla condizione femminile
Prima di tutto va precisato che rispetto al secondo dopoguerra, in tutti i paesi occidentali, la condizione femminile è sicuramente migliorata. Se, infatti, tradizionalmente il lavoro femminile extrafamiliare era considerato un tabù, oggi, almeno dal punto di vista culturale, esso è accettato senza grosse difficoltà. Guardando il grafico (vedi fig. 1), infatti si può subito notare come dal punto di vista del tasso di occupazione il gap tra uomini e donne, pur rimanendo ancora molto marcato (nel 2010 67,7% per gli uomini e 46,1% per le donne [2] ), si stia progressivamente riducendo. Per comprendere bene la questione, però, il tasso di occupazione non è sufficiente. Ciò che rende la condizione lavorativa femminile ancora molto difficile è il tasso di inattività, il quale registra quella porzione di popolazione che, pur essendo in età da lavoro (dai 15 ai 64 anni), non svolge alcuna attività lavorativa e non è in cerca di occupazione. Questo dato per le donne arriva nel 2010 al 48,9% [3] ed indica in maniera inequivocabile come esistano dei problemi strutturali che inducano le donne a non cercare lavoro. Il tasso di inattività è un indice molto eterogeneo: al suo interno si possono trovare studenti, persone molto ricche che scelgono di campare di rendita, lavoratori scoraggiati dopo una lunga disoccupazione, casalinghe, ecc. Ma ciò che rende davvero significativo questo dato sta nel fatto che il tasso di inattività maschile è praticamente la metà di quello femminile (26,7%). Proprio in quest’ultimo elemento, si racchiude il senso di quanto detto in precedenza. Ad emergere è, infatti, l’enorme difficoltà per le donne di conciliare le esigenze lavorative con quelle del lavoro domestico che le induce a rinunciare ad un’ occupazione esterna alla famiglia.

venerdì 18 novembre 2011

Sinistra: stiamo fuori dalla grande coalizione

Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 17 novembre 2011

Il Governo Berlusconi non c’è più. Il caimano si è dimesso, consumato da un inglorioso autunno del patriarca e sempre più isolato. Era nell’aria sin dai tempi della rottura con Fini ed era diventato quasi una certezza con la splendida primavera dei sindaci e dei referendum. Ora finalmente è accaduto e quindi facciamo bene, noi di sinistra, ad esultare e sentirci sollevati.
Eppure, c’è un “ma” che pesa, perché dopo anni di lotte, speranze, delusioni, traversate del deserto ed indignazioni, alla fine non siamo stati noi a dargli la spallata. Nessun 14 dicembre, primavera democratica o 15 ottobre l’hanno mandato a casa. No, l’hanno fatto i “mercati finanziari” o meglio, visto che la mano invisibile esiste solo nelle favole, quei soggetti che dispongono dei mezzi finanziari per agire e per orientare.

E attenzione, non si tratta di una quisquilia, poiché quella dei protagonisti del cambiamento è questione decisiva. Altrimenti, per scomodare altre epoche storiche, perché nell’aprile 1945 il capo delle forze alleate in Italia avrebbe chiesto ai partigiani di stare fermi in attesa che le sue truppe liberassero il nord del paese e perché il CLN avrebbe invece deciso l’esatto contrario, dando l’ordine per l’insurrezione popolare?

In altre parole, il modo in cui si esce dal disastro berlusconiano è dirimente. E da questo punto di vista faremmo molto bene, noi di sinistra, a toglierci dalla testa che la fine di Berlusconi significhi di per sé l’avvento di un’Italia migliore. A maggior ragione nelle condizioni date, cioè nel bel mezzo della più micidiale crisi economica, sociale e politica che l’Europa abbia vissuto dagli anni Trenta del secolo scorso.
Ebbene sì, perché il punto è questo: ci stiamo liberando dall’anomalia italiana, per ritrovarci di colpo nella normalità della crisi europea. C’eravamo anche prima, ovviamente, ma forse il berlusconismo ci aveva un po’ annebbiato la vista. E così, come logica conseguenza dell’incapacità dell’opposizione sociale e politica di buttare giù il sultano e di avanzare una proposta politica alternativa, ci scopriamo ora destinatari di ordini di servizio alla pari di Spagna, Portogallo o Irlanda e commissariati come la Grecia.

In questi giorni Mario Monti gode di grande credito pubblico, un po’ per il legittimo sollievo di non avere più come presidente del consiglioBerlusconi, un po’ perché molti vedono in lui un’ancora di salvezza in mezzo alla tempesta. Tutto questo è comprensibile, ma non ci esime certo dal guardare oltre il momento e l’apparenza.

Mario Monti, come il nuovo primo ministro greco, Lucas Papademos, è espressione diretta dell’establishment finanziario internazionale. Papademos era governatore della banca centrale greca e vicepresidente della Bce fino all’anno scorso. L’ex commissario europeo Monti è advisor della potente banca d’affari “Goldman Sachs” e ricopre ruoli di primo piano nella Commissione Trilaterale e nel Gruppo Bilderberg. Beninteso, qui non è questione di complotti, ma molto più banalmente di prendere atto che oggi i circoli e le istituzioni delfinanzcapitalismo (per usare la definizione di Gallino) hanno deciso di intervenire direttamente nella gestione politica degli Stati.
In questa dinamica, ad essere sconfitta e sottomessa non è tanto la politica intesa come ceto o partiti, bensì la democrazia, intesa come possibilità delle classi popolari di poter partecipare alla formazione delle decisioni pubbliche. Infatti, nelle lettere della Bce all’Italia o nello scandalo ufficiale di fronte all’ipotesi di referendum in Grecia ritroviamo la medesima insofferenza nei confronti della democrazia che abbiamo già visto all’opera a Pomigliano, Mirafiori o Grugliasco.
Insomma, delle pessime premesse per il futuro, dove in gioco non è il ricambio dei governanti, bensì la ridefinizione del sistema politico, sociale ed istituzionale. Cioè, la “terza repubblica” e il modello sociale.

Ecco perché non dobbiamo, noi di sinistra, stare nel recinto della Grosse Koalition a sostegno di un governo per nulla tecnico, il cui programma è stato scritto dalle istituzioni finanziarie. Non per ideologia, ma per realismo. E non per sbraitare a bordo campo, bensì per rientrare in gioco e costruire e organizzare un punto di vista alternativo, a partire dal lavoro, possibilmente con spirito unitario e insieme a movimenti e forze degli altri paesi europei. Altrimenti, anche le elezioni, quando finalmente arriveranno, serviranno a ben poco.



domenica 13 novembre 2011

NON è CHE L'INIZIO

Norma Rangeri - il manifesto
Alleluja. Silvio Berlusconi si è dimesso. Dopo diciassette anni e una giornata lunghissima, carica di tensione, seguita in diretta dai siti di tutto il mondo, l’imprenditore televisivo che avrebbe dovuto far funzionare l’Italia come la sua azienda molla la presa dopo averci trascinato al collasso e trasformato il suo sogno nel nostro incubo. Ci lascia in eredità un paese sfigurato dal colossale conflitto di interessi, sconvolto nelle elementari regole di convivenza, spolpato nelle residue energie dalle cricche di ogni ordine e grado, umiliato dalla prostituzione, non solo sessuale.
Purtroppo è difficile gustare pienamente la fine del sultanato, assaporare il tramonto della pubblicità, apprezzare il declino della volgarità. Il perché è molto semplice: a disarcionare il Cavaliere non è stata la forza delle opposizioni, la rinascita di una sinistra, ma la potenza dello spread, la legge dei mercati. Che hanno scelto di sostituire l’incapace e impresentabile gaffeur con una bandiera eccellente del pensiero liberista, Mario Monti. Gli hanno affidato la guida del governo, replicando in Italia lo schema greco: la nomina di Lucas Papademos, ex-Bce designato da Bruxelles all’ufficio governativo di Atene. Fino al punto di pilotare il nostro cambio della guardia nelle quarantottore di chiusura dei listini, così da completare l’avvicendamento già domani, quando i guardiani del Fondo monetario e della Banca centrale, insieme al caffè, daranno il gradimento.
Tutto è a posto ma proprio niente è in ordine. Si apre ora una fase di massima turbolenza, direttamente proporzionale allo sconquasso che l’avvicendamento a palazzo Chigi provocherà negli schieramenti di centrodestra e di centrosinistra, catapultati in una recita surreale. Da una parte il centrodestra che urla di rabbia per essere stato sostituito da un conservatore che applicherà il vangelo liberista berlusconiano. Dall’altra il centrosinistra che si spella le mani per applaudire chi gli farà ingoiare il rospo della ricetta economica firmata dalla Bce. Una maionese impazzita, un’inversione dei ruoli che fotografa perfettamente i nostri guai.
L’eccentrico laboratorio politico italiano chiude una stagione (un caso di scuola) e già ne prepara un’altra. Non è che l’inizio. Anche per le opposizioni.



sabato 12 novembre 2011

appuntamenti: L’Italia e la sinistra di fronte all’Europa della BCE

Sinistra che fai?
L’Italia e la sinistra di fronte all’Europa della BCE

Mercoledì 23 novembre 2011 , ore 20.30
Camera del Lavoro di Milano
Corso di Porta Vittoria, 43

Intervengono:

Paolo Ferrero
Segretario nazionale PRC


Fausto Bertinotti
già Presidente della Camera dei Deputati


Gennaro Migliore
Segreteria Nazionale Sinistra Ecologia Libertà


Organizza: Rifondazione Comunista Milano - Aderente alla Federazione della Sinistra

martedì 8 novembre 2011

CIAO NORI...

di Maria Calderoni


Norina Brambilla e i suoi compagni, gran bella gente

Niente di leggendario. Niente enfasi, niente retorica, niente stile letterario, niente storia romanzata. Lei racconta semplicemente, così come è andata, sul filo vivo dei ricordi, senza divagazioni e senza orpelli. Onorina Brambilla, un nome molto milanese, Croce di guerra al Valor partigiano, segni particolari staffetta nel 3° Gap "Egisto Rubini" di Milano, nome di battaglia Sandra. Nota anche come Nora Brambilla Pesce, segni particolari moglie di Giovanni Pesce, medaglia d'oro della Resistenza, suo compagno di lotta sin dai primi giorni e compagno di vita per sessant'anni, quando lui è scomparso, luglio 2007. Niente di leggendario.

Il libro della sua vita - Onorina Brambilla Pesce, Il pane bianco, Arterigere pp.292,  (a cura di Roberto Farina, prefazione e note di Franco Giannantoni) - è straordinario in sé, non solo per la vicenda personale che racconta, ma per il mondo, la gente, i sentimenti, il parterre umano che evoca. Antropologia operaia e comunista, Milano e dintorni, terribili anni '40, la generosità e la lotta, non c'è da aggiungere nulla.
«Quando fui arrestata dalle SS avevo appena compiuto ventun anni». E quando viene catturata - un pomeriggio del 12 settembre 1944, tradita da un partigiano passato al nemico - lei è gappista da un anno, «ero entrata a far parte dei Gruppi di difesa della Donna, un'organizzazione femminile che si occupava di raccogliere denaro, cibo, vestiti e tutto ciò che potesse servire ai partigiani». Il comandante del suo Gap è un certo Visone (scoprirà dopo che il vero nome èGiovanni Pesce). Giorni da staffetta, ragazza in bici che in borsa nasconde anche roba molto proibita, «un giorno incappai nei "marò" della San Marco. Erano in piazza Ludovica e controllavano tutti. Quando me ne accorsi, ero ormai troppo vicina per allontanarmi senza destare sospetti. Avevo con me due pistole». Quella volta la sfanga.
Tradita, arrestata, verranno per lei i giorni nel quinto braccio di San Vittore; degli interrogatori a colpi di gatto a nove code («dolorante, semisvenuta, credo di aver urlato molto»); del campo di concentramento di Bolzano, «numero di matricola 6087, col triangolo rosso dei politici, fui destinata al blocco F».
Norina e gli altri. Il suo lessico familiare e quello politico che si incontrano subito e si "riconoscono", naturalmente. «Sono di famiglia operaia, di orientamento antifascista, comunista». Poveri, modesti lavoratori. Squarci di primo Novecento popolare e contadino in terra lombarda. Quel trasloco forzato - «si diceva "fare san Martino"» - ogni 3 novembre «perché bisognava trovare un altro padrone e un'altra cascina»; quelle vecchie cascine senza acqua corrente e senza servizi e i cortili di terra battuta che diventavano fango, «dove i bambini vivevavo nella polvere, insieme ai polli e agli altri animali». E suo padre che, «dopo la terza elementare l'avevano mandato a fare il garzone in una bottega di calzolaio»; a martellare per qualche soldo «i chiodi storti, per raddrizzarli e riutilizzarli»; ma lui, che voleva andare a giocare con gli altri bambini, «invece di raddrizzarli, i chiodi li sotterrava».
Quel padre a cui lei dedica poche righe dimesse, quasi senza aggettivi, e tuttavia colme di celata ammmirazione e gratitudine: quel padre che, operaio specializzato alla Bianchi, preferisce patire anni di disoccupazione e miseria perché «si rifiuta di prendere la tessera del partito fascista»; al quale nel '29 viene proibito di votare; e che, dopo l'8 settembre, «si collega ai gruppi della Resistenza che agivano all'interno della fabbrica».
C'è Narva, «una comunista di vecchia data, con anni di attività clandestina alle spalle»; c'è la signora Maria, la proprietaria della stanza ammobiliata in via Macedonio Melloni che Visone aveva affittato e che «fece sempre finta di non capire chi fossimo, rischiò parecchio perché nella sua soffitta, tra le solite, vecchie cianfrusaglie, c'erano pistole, munizioni, l'arsenale dei Gap».
E c'è Tornelli, l'operaio della fabbrica al Vigentino al quale «passavo clandestinamente i volantini per lo sciopero del marzo '43»; e la Anna Gentili, la ragazza che a Porta Venezia il 25 luglio «salì su un carro armato» tra gli applausi della folla, «in seguito divenne staffetta con il nome di battaglia Lidia. Oggi è ancora viva, ha novant'anni». Quei nomi, quei volti. Come Libero Temolo, «un comunista coraggioso, capo cellula alla Pirelli»; e come Salvatore Principato, socialista, «due dei 15 compagni fucilati a piazzale Loreto»; come Egisto Rubini, il primo comandante del 3° Gap di Milano che, arrestato e torturato senza che riuscissero ad estorcergli un nome, «temendo di non poter resistere a un altro interrogatorio», si è tolto la vita, impiccandosi».
«Venni tra gli uomini al tempo della rivolta e mi ribellai con loro», dice Brecht nella famosa poesia. E anche lei. 2 settembre 1944, è il Corriere della Sera a dare la notizia: «Il commissario addetto all'ufficio politico Domenico De Martino è stato ucciso alle ore 13 in via Telesio». C'entrano i Gap. C'entra anche lei. Era il tempo della rivolta.
Lei e Visone si sono sposati il i4 luglio 1945, con rito civile, uno dei primi in Italia. «Milano era ferita dalla guerra, dai bombardamenti, dalla fame. Non possedevamo nulla, ma eravamo davanti a un'epoca nuova, Eravamo liberi, eravamo felici. Si cominciò subito a lavorare per tornare alla normalità. Il primo segno tangibile dei nostri sforzi fu il ritorno del pane bianco sulle nostre tavole».
Il libro è finito. «Oggi ho ottantasette anni. Non ho rimorsi. Ho un rimpianto, ma non voglio parlarne. Quando cala il sole chiudo le persiane, perché non amo il buio della notte». 
Norina e i suoi compagni, gran bella gente.


Per l'ultimo saluto a Onorina Brambilla Pesce,  la partigiana "Sandra": 

Mercoledì 9 novembre 2011 Camera del lavoro di Milano - Salone: Di 

Vittorio.  Corso di Porta Vittoria 43:

dalle ore 11.00 camera ardente

dalle ore 15.00 cerimonia funebre.

martedì 1 novembre 2011

appuntamenti: DALLA CRISI AL MONDO NUOVO



Crisi economica. Debito. Austerità. Manovre lacrime e sangue. Guerre coloniali. Disoccupazione. Degrado morale. Precarietà.

Questo è lo scenario che il capitalismo offre alle nuove generazioni!

Nel mondo la reazione a questo sistema disumano è già iniziata. Dall'America Latina che sperimenta, grazie alla resistenza di Cuba, il "socialismo del XXI secolo", alle proteste anti-capitaliste negli Stati Uniti, ai continui scioperi generali in Grecia, fino alle insurrezioni popolari (per ora sconfitte) in Tunisia, Egitto, Bahrein, ecc.

Cosa succede nel mondo? Quali prospettive in Italia?
Discutiamone insieme con due documentari che ci aiuteranno a comprendere l'intricato scenario di un sistema in decadenza per lottare con più consapevolezza per il suo rovesciamento e per la costruzione del mondo nuovo.

Giovedì 10 novembre
@casa della Sinistra di Bresso
Via San Giacomo 4
DEBTOCRACY, IL DEBITO LO PAGHI CHI LO CREA
ore 20,45 proiezione del film
a seguire dibattito con:
Bruno Casati, segreteria nazionale Prc
Lorenzo Esposito, Fisac-CGIL Banca D'Italia

                                                     Giovedì 17 novembre
                                                     @circolo Prc Affori,
                                                     Via Faccio 18, Milano
                                                     MALEDETTA PRIMAVERA
                                                     ore 20,45 proiezione del film
                                                     a seguire dibattito con:
                                                     Najat Tataoui, Comitato Immigrati  in Italia                                         

Documento finale della conferenza programmatica della sinisitra bressese

Pubblichiamo qui di seguito il testo del documento finale della conferenza programmatica della Sinistra bressese. Un documento che riteniamo molto importante in quanto stabilisce le linee guida per il prossimo futuro e prova a trarre un bilancio del nostro primo anno di attività.


CONFERENZA PROGRAMMATICA DELLA SINISTRA BRESSESE


Bresso 16/10/11


DOCUMENTO FINALE

Ad un anno dall’avvio del percorso unitario della Sinistra Bressese, si è svolta lo scorso 16 ottobre una conferenza programmatica tra attivisti e simpatizzanti, per fare un primo bilancio dell’attività svolta e per decidere il percorso del prossimo periodo, anche in prospettiva delle prossime elezioni amministrative che si svolgeranno tra un anno e mezzo.

Bilancio

La Conferenza ha confermato il percorso unitario scelto, che ha per orizzonte territoriale un orizzonte locale. I militanti dei partiti che fanno parte di questo laboratorio politico bressese, hanno la presunzione di pensare che la sinistra a Bresso (ma per fortuna anche in altri luoghi dove si stanno sperimentando esperienze analoghe), sia ad uno stadio di analisi e di costruzione più avanzato rispetto al livello nazionale. In ogni caso, il percorso unitario locale non preclude l’autonomia dei singoli partiti su questioni nazionali. La vera domanda che i militanti di base si pongono e che poniamo ai nostri dirigenti nazionali è di capire su cosa le sinistre sono divise. Siamo divisi sulle questioni di fondo che dovrebbero essere il dna della sinistra in questa fase storica quali la necessità di ridare dignità e centralità al tema del lavoro? Sulla questione della difesa del territorio, dell’ambiente e delle energie rinnovabili? Sulla questione della difesa dei diritti civili e dei beni comuni? Sulla necessità di ricostruire una scuola pubblica degna di questo nome; Sulla necessità di fermare le disastrose politiche neoliberiste ecc. Noi riteniamo che questi temi non ci dividono. La Conferenza, pertanto, ha confermato l’ambito del progetto e ribadito le ragioni che hanno portato Rifondazione Comunista e Sinistra e Libertà a compiere questa scelta unitaria sul territorio bressese.

Riprendendo il documento fondativo della sinistra bressese, il mondo ha bisogno della “Sinistra”. Un bisogno, una necessità, determinata da un vuoto politico esistente. Un bisogno fondato sulla constatazione che, sono sempre concetti contenuti in quel documento, occorre partire da un dato di realtà: in questa fase della storia, la Sinistra è culturalmente minoritaria e deve ricercare un nuovo senso, un nuovo linguaggio, ed una nuova identità per ricominciare a “contaminare il mondo” con i propri valori.

La scelta di dar vita, a livello locale, ad un percorso che ci auguriamo possa essere raccolto anche in altre realtà, nasce dal tentativo da parte dei compagni e delle compagne di Bresso di raccogliere diverse istanze: la richiesta del popolo della sinistra di finirla con le divisioni e le frammentazioni e di avviare un processo di riaggregazione per costruire una sinistra unita, di nome e di fatto. Oggi si ha la percezione, tra i giovani in particolare, di una insufficienza aggregativa nella tradizionale forma partito e della necessità di superare recinti e steccati dove è diventato difficile riconoscersi ed iscriversi. Occorre un tentativo di sperimentare nuove forme per fare politica; si ha la percezione che ci siano tante forze sul territorio, tante compagne e tanti compagni, che hanno voglia di mettersi in gioco ma che non trovano un luogo dove poterlo fare.
La bontà delle ragioni che ci hanno portato alla scelta di dar vita alla sinistra bressese sono state ribadite con forza dai compagni intervenuti alla conferenza.

La scelta di aprire uno spazio come la Casa della Sinistra, di farne uno spazio aperto e partecipato è stata consequenziale alle scelte fatte.

La scelta di dare un taglio maggiormente culturale alle nostre iniziative, convinti che con la cultura si possa far politica, e convinti che una battaglia culturale sia condizione necessaria per la ricostruzione di una sinistra politica che ricominci a contare veramente nel paese.

Le iniziative di questi ultimi mesi, oltre alla buona qualità della proposta in termini politico-culturali ed all’ottimo successo in termini di partecipazione, hanno un dato di grande valore nelle loro modalità di costruzione. Sono state possibili grazie all’impegno di giovani e di persone di sinistra, che collaborano a questo percorso senza avere tessere di partito in tasca. Senza di loro le  iniziative promosse non ci sarebbero state. Questo ci dice che grazie alle scelte compiute, si è cominciato ad intercettare una parte di quella sinistra diffusa di cui molti si riempiono la bocca nel volerla coinvolgere senza riuscire ad andare oltre le parole.
Anche sul versante amministrativo ed istituzionale la scelta unitaria si è rivelata vincente. Qui il risultato più evidente è la nomina dell’assessora della sinistra bressese a Vicesindaca. Chi si occupa della gestione dei rapporti politici ed istituzionali, può misurare ogni giorno il peso del valore aggiunto figlio del processo unitario avviato.
Il dibattito ha evidenziato la necessità di proiettare maggiormente all’esterno, al territorio ed ai cittadini il percorso della Sinistra Unita Bressese.


Conclusioni

L’assemblea nel ritenere positiva l’esperienza dell’ultimo anno, ha espresso all’unanimità il perseguimento dei seguenti obiettivi:

-         proseguire e consolidare anche da un punto di vista organizzativo l’esperienza unitaria bressese;
-   presentarsi uniti alle prossime elezioni amministrative sotto un unico simbolo che raccolga tutte le componenti della sinistra unita bressese.

Attraverso la:

-   costruzione di iniziative pubbliche, su tematiche locali e nazionali, che facciano conoscere ai cittadini di Bresso il percorso unitario esistente;

-   valorizzazione della “Casa della Sinistra” per farne uno spazio culturale dove ognuno possa dare un contributo, consentendo soprattutto  ai giovani di sperimentarsi e crescere;

Infine dà mandato alla commissione politico-istituzionale di procedere ad una analisi e verifica del programma Amministrativo fin qui realizzato, al fine di  incalzare l’Amministrazione per il completamento e la realizzazione, in questo ultimo anno e mezzo di legislatura, di quei punti  programmatici che riterrà determinanti per presentarsi all’elettorato  con  la coscienza di aver soddisfatto il mandato ricevuto.    

lunedì 3 ottobre 2011

IL GOVERNO TAGLIA, I CITTADINI PAGANO

IL GOVERNO BERLUSCONI TAGLIA
I CITTADINI E I COMUNI PAGANO!

Il governo Berlusconi dice di non aver messo le mani in tasca agli italiani, vediamo se è così!
Cosa accadrà nel 2014?
Hanno forse spostato la data della fine del mondo prevista nel 2012?
O forse ci sarà un nuovo e oscuro raduno mondiale.
NOOOO!!!!!!
“PER IL 2014” , il Governo delle Libertà (PDL e Lega) , per risanare i grave stato di crisi in cui versa il nostro Paese, nella manovra lacrime e sangue che ha votato, ha finalmente introdotto  per tutti  i comuni d’Italia  quello che ormai da anni viene  “venduto” come  il  “toccasana” per risanare l‘Italia  perché ognuno possa tornare padrone a casa sua.
Dal 2014 finalmente le tasse non dovranno più essere versate a Roma, ma al proprio Comune.
Peccato che questo finto federalismo reintroduce solamente  l’ICI, che invece oggi si intasca lo Stato.
Peccato che già sappiamo che nel 2014 per permettere ai Comuni di incassare di più hanno previsto aliquote più alte
Peccato che in attesa del 2014, e anche dopo, IRPEF, IRAP  e tutte le altre tasse continueranno a essere versate a Roma nella stessa misura di oggi.
…E la famosa diminuzione delle tasse tanto sbandierata che fine ha fatto???

MA IN ATTESA DI QUESTO 2014 COSA SUCCEDE AL NOSTRO COMUNE?
Cosa ci ha regalato la manovra voluta dal Governo delle Libertà????

ECCO LA RISPOSTA
ANNO 2011: lo Stato verserà al Comune di Bresso – (meno) €       904.MILA  rispetto al 2010
ANNO 2012: lo Stato verserà al Comune di Bresso – (meno) € 2,020MILIONI rispetto al 2010
ANNO 2013: lo Stato verserà al Comune di Bresso – (meno) € 3,140MILIONI rispetto al 2010

La traduzione di questi numeri nel  Bilancio di Bresso significa che il nostro Comune, come tutti i Comuni d’Italia, rischia:
  • di tagliare pesantemente i servizi sociali: gli aiuti alle famiglie bisognose, agli anziani e ai disabili
  • dover aumentare le tariffe dei servizi: mensa, nidi ecc.

Per risolvere il grave stato di  crisi del nostro Paese noi proponiamo:
·        Tassa sui grandi patrimoni al di sopra del milione di euro;
·        Lotta all’evasione fiscale anche con una sovratassa sui capitali che hanno usato lo scudo fiscale;
·        Dimezzare gli stipendi delle caste e mettere un tetto agli stipendi dei manager;
·        Dimezzare le spese militari e smettere subito la guerra in Afghanistan e Libia;
Le aziende che delocalizzano devono restituire i finanziamenti pubblici;

I COMUNI NON SI TOCCANO
SINISTRA UNITA BRESSESE

domenica 24 luglio 2011

Genova 2001-2011: Loro la crisi Noi la speranza

Si è conclusa a Genova la settimana di iniziative a dieci anni di distanza dal G8, a dieci anni dall'assassino impunito di Carlo Giuliani, dalla macelleria cilena di Bolzaneto e della scuola Diaz, a dieci anni dalle giornate in cui la democrazia venne sospesa nel tentativo di reprime nel sangue un movimento che chiedeva "un altro mondo possibile", un altro mondo rispetto a quello di quella globalizzazione neoliberista che stava avanzando e di cui oggi vediamo e viviamo gli effetti nefasti.

La settimana di Genova non è stata però solo una settimana di commemorazioni, è stata soprattutto una settimana di momenti di confronto ed iniziative che hanno fatto emergere quanto le analisi dei no global dieci anni fa fossero esatte, e come le lotte di allora continuino oggi attraverso i molti movimenti che dal basso provano a parlare al paese. A cominciare dai NO TAV della Val di Susa, per passare attraverso la battaglia a difesa dell'acqua e dei beni comuni, al movimento degli studenti a difesa della scuola pubblica, alla lotta della FIOM a per il mantenimento del contratto nazionale. Tutte realtà, queste e molte altre presenti a Genova questa settimana. Uno dei momenti centrali è stata la manifestazione di sabato pomeriggio dove una folta delegazione di Rifondazione Comunista e della Sinistra bressese è stata presente a partire dal vicesindaco di Bresso Rita Parozzi. Di seguito alcune delle foto più significative del corteo. 

Le foto complete sono visualizzabili sulla pagina di Facebook di Prc Bresso


lunedì 18 luglio 2011

LA MAFIA AL NORD Terza serata dell rassegna "A sinistra la Cultura è di casa"

MARTEDì 19
CASA DELLA SINISTRA
Bresso, via San Giacomo 4
LA MAFIA AL NORD

ore 19,00 - aperitivo con proiezioni
ore 21,00 - Presentazione del libro "Briangheta" di Marco Fraceti e dibattito
con la partecipazione dell'associazione "Stampo antimoafioso"


Nella giornata dell'anniversario della strage di via D'Amelio e dell'uccisione di Paolo Borsellino abbiamo deciso di organizzare l'ultima delle tre serate della rassegna a Sinistra la Cultura è di Casa. Una serata per raccontare la forza della criminalità organizzata nelle città del nord. Un fenomeno molto diffuso e pericoloso, che si conosce molto poco e si tende a sottovalutare. Un fenomeno che non può più essere considerato distante dalla nostra quotidianità, ma che va combattuto con forza.

Ne discuteremo a partire dal libro di Marco Fraceti "Briangheta", il quale racconta il fenomeno dell'infiltrazione del'ndrangheta nel territorio della provincia di Monza e Brianza


lunedì 11 luglio 2011

A SINISTRA LA CULTURA E' DI CASA

Una tre giorni di iniziative a sfondo culturale presso la casa della sinistra di Bresso. Una rassegna che nasce dall'esigenza di dare vita al nostro nuovo spazio riappropriandoci del terreno culturale, proprio della sinistra, attraveso forme di comunicazioni e linguaggi differenti come il teatro e la musica. Le tematiche delle serate verteranno sulle discriminazioni, sulla questione di genere e sul radicamento delle mafie al Nord. 




















Programma:
GIOVEDì 14
VIAGGIO NELL'INTEGRAZIONE 
ore 19,00 - Aperitivo
Ore 21,00 - filmati e musiche a cura di Antonio Ruta


VENERDì 15
I DIRITTI DELLE DONNE
ore 19,00 - aperitivo
Ore 21,00 - spettacolo teatrale "Il corpo negato" interpretato da Deborah Morese


MARTEDì 19
LA MAFIA AL NORD
ore 19,00 - aperitivo
ore 21,00 - Presentazione del libro "Briangheta" di Marco Fraceti
con la partecipazione dell'associazione "Stampo antimoafioso"


lunedì 4 luglio 2011

racconto dalla valle

NON SI PUO' LASCIARE SOLA LA VAL DI SUSA NEL MOMENTO DELLA LOTTA

di Massimiliano Lio, Luca Cerpelloni, Diego Santucci (PRC Cinisello Balsamo); Jonathan Chiesa (PRC Niguarda-Milano); Umberto Bettarini (PRC Bresso)



Lo ammettiamo, siamo cinque terroristi. Perché ieri, domenica 3 luglio eravamo in Val di Susa, al cantiere de La Maddalena, dove si sono svolti gli scontri in occasione della manifestazione nazionale organizzata dal Comitato NO TAV. Con noi c’erano altri 70.000 terroristi. Di tutte le età. Donne e uomini. Valligiani. Persone giunte da tutta Italia, come noi.
Tutti lì con l’obiettivo di assediare il cantiere dell’Alta Velocità dopo lo scippo violento operato dalla polizia il 1 luglio scorso. Non eravamo lì per una scampagnata poi degenerata, come certa stampa (di destra e “sinistra”) vuole oggi far credere. Lo scopo della manifestazione era noto a tutti. Basta leggersi l’appello del Comitato NO TAV circolato nei giorni scorsi. È tutto scritto nero su bianco.
La TAV, opera inutile, speculativa, mafiosa, dannosa per il territorio e i suoi abitanti non si deve fare.
Questo dicevano ieri i valligiani con cui abbiamo sfilato. Uomini anziani e risoluti, che stringendo i pugni maledivano i carabinieri, ritornati l’altro giorno in massa a occupare nuovamente la loro terra.
Questo dicevano i tantissimi giovani accorsi da tutta Italia, a cui non sono bastati i proclami interessati e opportunistici a difesa dei beni comuni scanditi dai politici in questi mesi di campagna referendaria. E già diventati lettera morta.
Siamo partiti dal concentramento di Giaglione dopo le 9.00. Destinazione il cantiere de La Maddalena. Un lungo serpentone colorato e allegro.  Eterogeneo. Niente a che vedere con un reparto di paramilitari. Ci siamo incamminati su per i ripidi e stretti sentieri di questa valle incantevole. Gli stessi percorsi dai partigiani durante la guerra di Liberazione.
Assieme alle famiglie con bambini e agli anziani c’erano anche quelli che oggi la stampa definisce iperbolicamente i “professionisti della violenza”: si trattava di ragazzi giovanissimi e determinati, molte le ragazze, tutti italiani.
Una volta giunti alla baita de La Maddalena, uno dei campi-base della protesta NO TAV, gli organizzatori del comitato hanno invitato con un megafono i manifestanti a dirigersi verso le reti poste a difesa del cantiere per fare pressione. Ripetiamo, lo scopo della manifestazione non era fare una scampagnata.
Ebbene, neanche il tempo di toccare con le mani la barriera difensiva, è scattato improvviso e gratuito il getto degli idranti e il lancio di lacrimogeni urticanti. Sparati fin dall’inizio ad altezza d’uomo. Subito un anziano, in pantaloncini e scarpe da tennis (di certo non una tenuta da guerrigliero), viene portato via a braccia per uno squarcio nella coscia provocato dalla cartuccia dei gas.
Idranti, lacrimogeni, pallottole di gomma (abbiamo visto i segni lasciati sulle schiene di alcuni): per diverse ore la valle come le strade di Belfast, i vicoli di Gaza.
Fino a quando è piombato sull’area della baita un lacrimogeno, spargendo il panico tra quei manifestanti tranquilli a riposare, tra le famiglie con i bambini impauriti e in lacrime.
A quel punto è scattata la reazione. Un drappello di persone, portando con sè tavoli riadattati a scudi, si è diretto verso il punto caldo. Tra gli applausi generali, proprio di tutti. In prima fila tra gli altri tanti compagni. E soprattutto tanti abitanti della valle, molti con i capelli bianchi, che costruivano rudimentali fionde e davano consigli per inoltrarsi nei boschi. Partecipavano attivamente all’assedio. Che a questo punto (solo a questo punto), faceva un “salto di qualità”.
È andata avanti così per diverse ore. Le forze dell’ordine (?), al sicuro sul cavalcavia dell’autostrada, sparavano puntando sui manifestanti le cartucce di lacrimogeni, che in alcuni momenti ci sono sibilate molto vicino. A chi è stato meno fortunato di noi ha procurato fratture al naso, tagli in testa, squarci sul viso.
Ad accendere ulteriormente gli animi è stato poi l’atteggiamento da veri ultras da stadio adottato da chi dovrebbe tenere tutt’altro comportamento. Finanzieri che dal cavalcavia gettavano contro i manifestanti (decine di metri sotto) bottiglie piene d’acqua. E poi insulti e gesti provocatori. A un certo punto i poliziotti si sono messi a lanciare pietre, come un qualsiasi black bloc! Altro che la romantica visione pasoliniana dei poliziotti, che tanti, ingenuamente o opportunisticamente, richiamano dopo questi eventi.
In serata, come di consueto, si è scatenato il teatrino della politica politicante, mettendo in scena la disgustosa gara a dimostrare chi è più devoto alle forze dell’ordine. Che competizione tra maggioranza e opposizione!
I media, di qualsiasi “famiglia” di appartenenza, hanno immediatamente messo in opera la ben rodata strategia di dividere i manifestanti tra buoni e cattivi (invece eravamo tutti terroristi!); si sono subito impegnati a scavare fratture nel movimento NO TAV, con ricostruzioni degli avvenimenti fantasiose e distorte (il quotidiano La Repubblica aveva come inviato nei luoghi della protesta un giornalista che di solito si occupa di calcio…).
Senza comprendere che si tratta di tempo perso. Esiste una dialettica all’interno del movimento. Ma non è spostando l’attenzione dal merito della lotta a questioni di contorno, come la polemica sulle dichiarazioni del solito grillo parlante o richiamando dalla memoria del G8 di Genova lo spettro del black bloc, che si intaccherà la determinazione collettiva, fortemente radicata nella popolazione che non ci sta a farsi strappare via il proprio territorio dalla speculazione.
Occorrerà a questo punto un grosso impegno da parte nostra a smascherare le bugie e le mistificazioni messe in atto dalla maggioranza che copre l’intero arco parlamentare schierata a favore della TAV.
Sia chiaro, tutto questo si era messo in conto. Che qualcuno non pensi che quanto è successo ieri si sia trattato di un incidente di percorso. Non saranno gli strali di Napolitano o le polemiche di bassa cucina politica a far recedere gli abitanti della valle!
Noi cinque, militanti di Rifondazione comunista, ci siamo recati in Val di Susa perché condividiamo, così come il nostro partito, la lotta del movimento NO TAV.
Perché pensiamo che la battaglia a difesa dei beni comuni non si sia esaurita col felice esito dei referendum di giugno, ma continui sui territori, in primis quelli minacciati dalla speculazione e dallo scempio per realizzare opere inutili.
Perché riteniamo che ogni comunista debba sempre impegnarsi per raggiungere la piena coerenza tra le parole e i fatti.

Perché non possiamo lasciare sola questa valle nel momento della lotta.
NO TAV! A SARA’ DURA!