Lo ammettiamo, siamo cinque terroristi. Perché ieri, domenica 3 luglio eravamo in Val di Susa, al cantiere de La Maddalena, dove si sono svolti gli scontri in occasione della manifestazione nazionale organizzata dal Comitato NO TAV. Con noi c’erano altri 70.000 terroristi. Di tutte le età. Donne e uomini. Valligiani. Persone giunte da tutta Italia, come noi.
Tutti lì con l’obiettivo di assediare il cantiere dell’Alta Velocità dopo lo scippo violento operato dalla polizia il 1 luglio scorso. Non eravamo lì per una scampagnata poi degenerata, come certa stampa (di destra e “sinistra”) vuole oggi far credere. Lo scopo della manifestazione era noto a tutti. Basta leggersi l’appello del Comitato NO TAV circolato nei giorni scorsi. È tutto scritto nero su bianco.
La TAV, opera inutile, speculativa, mafiosa, dannosa per il territorio e i suoi abitanti non si deve fare.
Questo dicevano ieri i valligiani con cui abbiamo sfilato. Uomini anziani e risoluti, che stringendo i pugni maledivano i carabinieri, ritornati l’altro giorno in massa a occupare nuovamente la loro terra.
Questo dicevano i tantissimi giovani accorsi da tutta Italia, a cui non sono bastati i proclami interessati e opportunistici a difesa dei beni comuni scanditi dai politici in questi mesi di campagna referendaria. E già diventati lettera morta.
Siamo partiti dal concentramento di Giaglione dopo le 9.00. Destinazione il cantiere de La Maddalena. Un lungo serpentone colorato e allegro. Eterogeneo. Niente a che vedere con un reparto di paramilitari. Ci siamo incamminati su per i ripidi e stretti sentieri di questa valle incantevole. Gli stessi percorsi dai partigiani durante la guerra di Liberazione.
Assieme alle famiglie con bambini e agli anziani c’erano anche quelli che oggi la stampa definisce iperbolicamente i “professionisti della violenza”: si trattava di ragazzi giovanissimi e determinati, molte le ragazze, tutti italiani.
Una volta giunti alla baita de La Maddalena, uno dei campi-base della protesta NO TAV, gli organizzatori del comitato hanno invitato con un megafono i manifestanti a dirigersi verso le reti poste a difesa del cantiere per fare pressione. Ripetiamo, lo scopo della manifestazione non era fare una scampagnata.
Ebbene, neanche il tempo di toccare con le mani la barriera difensiva, è scattato improvviso e gratuito il getto degli idranti e il lancio di lacrimogeni urticanti. Sparati fin dall’inizio ad altezza d’uomo. Subito un anziano, in pantaloncini e scarpe da tennis (di certo non una tenuta da guerrigliero), viene portato via a braccia per uno squarcio nella coscia provocato dalla cartuccia dei gas.
Idranti, lacrimogeni, pallottole di gomma (abbiamo visto i segni lasciati sulle schiene di alcuni): per diverse ore la valle come le strade di Belfast, i vicoli di Gaza.
Fino a quando è piombato sull’area della baita un lacrimogeno, spargendo il panico tra quei manifestanti tranquilli a riposare, tra le famiglie con i bambini impauriti e in lacrime.
A quel punto è scattata la reazione. Un drappello di persone, portando con sè tavoli riadattati a scudi, si è diretto verso il punto caldo. Tra gli applausi generali, proprio di tutti. In prima fila tra gli altri tanti compagni. E soprattutto tanti abitanti della valle, molti con i capelli bianchi, che costruivano rudimentali fionde e davano consigli per inoltrarsi nei boschi. Partecipavano attivamente all’assedio. Che a questo punto (solo a questo punto), faceva un “salto di qualità”.
È andata avanti così per diverse ore. Le forze dell’ordine (?), al sicuro sul cavalcavia dell’autostrada, sparavano puntando sui manifestanti le cartucce di lacrimogeni, che in alcuni momenti ci sono sibilate molto vicino. A chi è stato meno fortunato di noi ha procurato fratture al naso, tagli in testa, squarci sul viso.
Ad accendere ulteriormente gli animi è stato poi l’atteggiamento da veri ultras da stadio adottato da chi dovrebbe tenere tutt’altro comportamento. Finanzieri che dal cavalcavia gettavano contro i manifestanti (decine di metri sotto) bottiglie piene d’acqua. E poi insulti e gesti provocatori. A un certo punto i poliziotti si sono messi a lanciare pietre, come un qualsiasi black bloc! Altro che la romantica visione pasoliniana dei poliziotti, che tanti, ingenuamente o opportunisticamente, richiamano dopo questi eventi.
In serata, come di consueto, si è scatenato il teatrino della politica politicante, mettendo in scena la disgustosa gara a dimostrare chi è più devoto alle forze dell’ordine. Che competizione tra maggioranza e opposizione!
I media, di qualsiasi “famiglia” di appartenenza, hanno immediatamente messo in opera la ben rodata strategia di dividere i manifestanti tra buoni e cattivi (invece eravamo tutti terroristi!); si sono subito impegnati a scavare fratture nel movimento NO TAV, con ricostruzioni degli avvenimenti fantasiose e distorte (il quotidiano La Repubblica aveva come inviato nei luoghi della protesta un giornalista che di solito si occupa di calcio…).
Senza comprendere che si tratta di tempo perso. Esiste una dialettica all’interno del movimento. Ma non è spostando l’attenzione dal merito della lotta a questioni di contorno, come la polemica sulle dichiarazioni del solito grillo parlante o richiamando dalla memoria del G8 di Genova lo spettro del black bloc, che si intaccherà la determinazione collettiva, fortemente radicata nella popolazione che non ci sta a farsi strappare via il proprio territorio dalla speculazione.
Occorrerà a questo punto un grosso impegno da parte nostra a smascherare le bugie e le mistificazioni messe in atto dalla maggioranza che copre l’intero arco parlamentare schierata a favore della TAV.
Sia chiaro, tutto questo si era messo in conto. Che qualcuno non pensi che quanto è successo ieri si sia trattato di un incidente di percorso. Non saranno gli strali di Napolitano o le polemiche di bassa cucina politica a far recedere gli abitanti della valle!
Noi cinque, militanti di Rifondazione comunista, ci siamo recati in Val di Susa perché condividiamo, così come il nostro partito, la lotta del movimento NO TAV.
Perché pensiamo che la battaglia a difesa dei beni comuni non si sia esaurita col felice esito dei referendum di giugno, ma continui sui territori, in primis quelli minacciati dalla speculazione e dallo scempio per realizzare opere inutili.
Perché riteniamo che ogni comunista debba sempre impegnarsi per raggiungere la piena coerenza tra le parole e i fatti.
Perché non possiamo lasciare sola questa valle nel momento della lotta.
NO TAV! A SARA’ DURA!