Alleluja. Silvio Berlusconi si è dimesso. Dopo diciassette anni e una giornata lunghissima, carica di tensione, seguita in diretta dai siti di tutto il mondo, l’imprenditore televisivo che avrebbe dovuto far funzionare l’Italia come la sua azienda molla la presa dopo averci trascinato al collasso e trasformato il suo sogno nel nostro incubo. Ci lascia in eredità un paese sfigurato dal colossale conflitto di interessi, sconvolto nelle elementari regole di convivenza, spolpato nelle residue energie dalle cricche di ogni ordine e grado, umiliato dalla prostituzione, non solo sessuale.
Purtroppo è difficile gustare pienamente la fine del sultanato, assaporare il tramonto della pubblicità, apprezzare il declino della volgarità. Il perché è molto semplice: a disarcionare il Cavaliere non è stata la forza delle opposizioni, la rinascita di una sinistra, ma la potenza dello spread, la legge dei mercati. Che hanno scelto di sostituire l’incapace e impresentabile gaffeur con una bandiera eccellente del pensiero liberista, Mario Monti. Gli hanno affidato la guida del governo, replicando in Italia lo schema greco: la nomina di Lucas Papademos, ex-Bce designato da Bruxelles all’ufficio governativo di Atene. Fino al punto di pilotare il nostro cambio della guardia nelle quarantottore di chiusura dei listini, così da completare l’avvicendamento già domani, quando i guardiani del Fondo monetario e della Banca centrale, insieme al caffè, daranno il gradimento.
Tutto è a posto ma proprio niente è in ordine. Si apre ora una fase di massima turbolenza, direttamente proporzionale allo sconquasso che l’avvicendamento a palazzo Chigi provocherà negli schieramenti di centrodestra e di centrosinistra, catapultati in una recita surreale. Da una parte il centrodestra che urla di rabbia per essere stato sostituito da un conservatore che applicherà il vangelo liberista berlusconiano. Dall’altra il centrosinistra che si spella le mani per applaudire chi gli farà ingoiare il rospo della ricetta economica firmata dalla Bce. Una maionese impazzita, un’inversione dei ruoli che fotografa perfettamente i nostri guai.
L’eccentrico laboratorio politico italiano chiude una stagione (un caso di scuola) e già ne prepara un’altra. Non è che l’inizio. Anche per le opposizioni.
Purtroppo è difficile gustare pienamente la fine del sultanato, assaporare il tramonto della pubblicità, apprezzare il declino della volgarità. Il perché è molto semplice: a disarcionare il Cavaliere non è stata la forza delle opposizioni, la rinascita di una sinistra, ma la potenza dello spread, la legge dei mercati. Che hanno scelto di sostituire l’incapace e impresentabile gaffeur con una bandiera eccellente del pensiero liberista, Mario Monti. Gli hanno affidato la guida del governo, replicando in Italia lo schema greco: la nomina di Lucas Papademos, ex-Bce designato da Bruxelles all’ufficio governativo di Atene. Fino al punto di pilotare il nostro cambio della guardia nelle quarantottore di chiusura dei listini, così da completare l’avvicendamento già domani, quando i guardiani del Fondo monetario e della Banca centrale, insieme al caffè, daranno il gradimento.
Tutto è a posto ma proprio niente è in ordine. Si apre ora una fase di massima turbolenza, direttamente proporzionale allo sconquasso che l’avvicendamento a palazzo Chigi provocherà negli schieramenti di centrodestra e di centrosinistra, catapultati in una recita surreale. Da una parte il centrodestra che urla di rabbia per essere stato sostituito da un conservatore che applicherà il vangelo liberista berlusconiano. Dall’altra il centrosinistra che si spella le mani per applaudire chi gli farà ingoiare il rospo della ricetta economica firmata dalla Bce. Una maionese impazzita, un’inversione dei ruoli che fotografa perfettamente i nostri guai.
L’eccentrico laboratorio politico italiano chiude una stagione (un caso di scuola) e già ne prepara un’altra. Non è che l’inizio. Anche per le opposizioni.
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