ma quale è la nostra proposta di fronte alla crisi?Di Aldo Giannulidocente di storia alla Statale di Milano
La lettera aperta che vi proponiamo qui di seguito è stata scritta al terimine dell' Assemblea regionale dell'area "Essere Comunisti" di sabato 29 Aprile in risposta all'intervento conclusivo di Claudio Grassi. Pensiamo possa essere un interessantissimo spunto di riflessione sull'attuale crisi economica, la quale mette in luce una lunga serie di problematiche del tutto inedite che come Sinistra non possiamo ignorare.Caro Claudio,
colgo l’occasione del tuo discorso conclusivo della riunione di “Essere Comunisti” sabato scorso a Milano per ragionare meglio su un punto che hai toccato di sfuggita ma che mi sembra essenziale per la definizione della linea politica di Rifondazione.Mi riferisco alla tua affermazione per cui siano in presenza di una crisi da sovra produzione che, dunque, richiede interventi ti tipo classicamente keinesiano (rialzo dei salari, rilancio dell’occupazione ecc), per sostenere la domanda sul mercato e rimettere in equilibrio l’economia.
In effetti, sono presenti elementi di sovra produzione: la depressione del monte salari obbliga i ceti subalterni ad indebitarsi, questo genera masse di capitale fittizio che si svela per tale quando l’insolvenza dei debitori diventa conclamata; questo provoca una caduta della domanda che rende le merci prodotte invendibili, con la conseguente mancata realizzazione del profitto.
E’ quello che è successo con la crisi dei mutui e che assomiglia da vicino ai meccanismi della grande crisi del 1929. Personalmente non credo che questa sia la definizione più adatta per la crisi attuale, perchè non è questo l’aspetto peculiare, ma potremmo anche scegliere questa definizione, tutto sta a capirsi sul significato delle parole.I vari aspetti di questa crisi erano stati analizzati da Alberto Burgio nel suo pregevole “Senza Democrazia”, la cui lettura consiglio sempre a studenti ed amici, anche se, per la verità, Alberto non sempre ha tratto tutte le conseguenze delle tendenze che individuava ed, in alcuni tratti, mi è parso troppo suggestionato dal parallelo analogico con il 1929.
Tuttavia, ho l’impressione che si stia facendo strada una vulgata un po’ troppo semplificativa, che forza ancora di più l’analogia con la “Grande crisi”, sino ad una trasposizione meccanica delle ricette keinesiane.A differenza di settanta anni fa, dobbiamo fare i conti con una serie di elementi del tutto nuovi. In primo luogo, è vero che anche la crisi del 1929 fu innescata dall’insolvenza della Germania di fronte al suo debito per le riparazioni di Guerra, ma è anche vero che essa ebbe uno svolgimento prevalentemente interno ai mercati nazionali. E pertanto, le soluzioni del New Deal, con i loro imponenti programmi di opere pubbliche, pur se non bastevoli a superare del tutto la depressione, ottennero comunque l’effetto di invertire la tendenza, avviando la ripresa e conducendola a buon punto. Si può discutere se il decollo degli Usa quale prima potenza economica mondiale sarebbe ugualmente avvenuto -ed in quei tempi- senza l’immenso consumo a fondo perduto della Guerra e la ricostruzione dei paesi europei, ma è ragionevole supporre che, pur se in tempi più lenti, il New Deal avrebbe conseguito i suoi obiettivi.
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