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venerdì 1 ottobre 2010

Per favore non chiamatela fiducia


di Paolo Ferrero

Fiducia. Mai parola è stata tanto bistrattata come ieri (n.d.r 29 settembre). Calcolo politico, ambizioni personali, soldi, corruzione spicciola. Tanti sono i motivi del voto ottenuto da Berlusconi in Parlamento ma per favore non ci dicano che ha avuto la fiducia. Non degli onorevoli (si fa per dire) che lo hanno votato per i motivi più disparati e spesso opposti; non del paese che certo non lo vede più come il salvatore della patria. Ieri Berlusconi ha rappattumato una maggioranza e quindi il governo prosegue, ma i problemi che hanno determinato l’apertura della crisi estiva non sono stati risolti: non il rapporto tra secessionismo leghista e potentati meridionali; non il rapporto tra politica e magistratura; non il rapporto politico tra Berlusconi e Fini.
Il voto di ieri non rappresenta un punto di arrivo ma di passaggio, che lascia inalterata la situazione di instabilità. Un passaggio che costituisce un successo di Fini il quale non solo non si è dimesso da Presidente della Camera come Berlusconi reclamava a gran voce ma che a questo punto costituisce una componente essenziale della maggioranza. Una maggioranza a tre gambe - e non due come volevano Berlusconi e Bossi – con Fini che passa alla costruzione del partito. Vi è quindi una oggettiva modificazione del centrodestra che rafforza Fini e indebolisce Berlusconi.


Ho sin qui parlato di “politique politicienne” perché è del tutto evidente che le contraddizioni della destra non sono relative allo stato del paese. Mentre alla Camera si discuteva sul governo, al Senato è stato approvato il Disegno di legge sul lavoro che sostanzialmente abolisce la vigenza del contratto nazionale di lavoro per tutti i nuovi assunti. Questo provvedimento contro cui abbiamo fatto lo sciopero della fame in primavera, rappresenta a livello legislativo quello che il diktat di Pomigliano ha rappresentato sul piano contrattuale. Sul versante delle politiche economiche e sociali, Fini e Berlusconi non hanno quindi alcuna contraddizione.
Esprimono la stessa politica reazionaria e padronale che vuole scaricare i costi della crisi sulle spalle dei lavoratori in un processo di impoverimento del paese.A questo punto il centrosinistra non ha più alibi. L’obiettivo di cacciare questo governo, che più rimane in carica e più fa danni, deve diventare il punto principale dell’iniziativa politica. Nei giorni scorsi abbiamo concordato sull’opportunità di costruire un fronte democratico per andare alle elezioni e sconfiggere Berlusconi. Questo fronte democratico deve cominciare a funzionare subito con l’obiettivo esplicito della cacciata del governo. Per questo decisiva è la riuscita della manifestazione del 16 ottobre che deve diventare una grande manifestazione di popolo contro governo e Confindustria. Cosa aspetta il Pd ad aderire?

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